L’assemblea dell’Onu nel 1999 ha stabilito il 25 novembre come Giornata contro la violenza sulle donne in ricordo del martirio delle sorelle Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, uccise dai soldati del dittatore Rafael Leonidas Trujillo nella Repubblica Dominicana.
Era il 1960 e le tre donne furono fermate per strada mentre andavano in carcere a trovare i mariti; malmenate e gettate in un fossato; si cercò di far passare l’aggressione per un incidente. Il popolo capì immediatamente che le tre donne erano state assassinate. Sono entrate nella storia con il nome di Las Mariposas (le farfalle), per il loro coraggio di contrastare la dittatura e di lottare per i diritti.
Il segno che identifica l’opposizione contro il cosiddetto femminicidio, sono le scarpe rosse, simbolicamente lasciate nelle piazze per sensibilizzare l’opinione pubblica.
Questa Giornata internazionale di oggi, purtroppo sconta anche in Italia la situazione sanitaria mondiale; Il recente lockdown ha coinciso con un aumento delle violenze. Nei primi 10 mesi del 2020 i femminicidi sono stati 91. Uno ogni tre giorni. Le richieste di aiuto alle varie associazioni, sono aumentate del 73% (Istat).
Anche la Chiesa deve fare la sua parte per sensibilizzare l’attenzione e l’impegno di tutti.
La Bibbia inizia raccontando che l’ uomo e la donna sono creati insieme, in armonia e con la stessa dignità . Purtroppo le nefaste interpretazioni del mistero del peccato originale, ancora non del tutto superate, hanno contribuito a relegare la donna ad un ruolo subalterno e strumentale rispetto all’uomo.
Nei vangeli Gesù compie nei principi e nei fatti una vera e propria rivoluzione: difende una prostituta dalla lapidazione; si ferma a parlare con una samaritana; si fa toccare da un ammalata, l’emorroissa e la guarisce per la sua fede… Infine, Gesù risorto appare per primo a due donne, che diventano le prime annunciatrici della Pasqua.
Nella storia della Chiesa alcune donne hanno saputo emanciparsi attraverso la testimonianza e il coraggio della loro vita. Pensiamo a Matilde di Canossa al tempo della lotta per le investiture; Monica, mistica madre di Agostino; Ildegarda di Bingen, polivalente donna di arte, cultura e fede; Chiara di Assisi,Teresa D’Avila e Caterina da Siena, prime donne dopo duemila anni di cristianesimo proclamate da Paolo VI nel 1970 dottore della Chiesa; e tantissime altre, fino ad arrivare ai tempi moderni e contemporanei con Teresa di Lisieux, Edith Stein, Simone Weil, Madre Teresa di Calcutta, Gianna Beretta Molla.
Gli ultimi papi hanno preso pienamente coscienza dei ritardi storici a riguardo della dignità e del ruolo donne nella Chiesa. Il problema risiede oggi in qualche parte della comunità ecclesiale che si è sclerotizzata, in un apparato rigido e tradizionalista, che ha bisogno di urgente, necessaria e non più rinviabile apertura verso la donna, per metterne a disposizione al meglio gli specifici carismi.
Grazie a Dio Papa Francesco sta incidendo anche su questo aspetto.
Dobbiamo riferirci alla Chiesa della Pentecoste e del Concilio. La Chiesa degli inizi, descritta negli Atti degli Apostoli, ci chiede di lasciarci guidare dallo Spirito Santo. La sua presenza è vita per ognuno. Il Concilio Vaticano II non ha paura di dirci che questa presenza è universale, diffusa quanto è diffusa l’umanità : “Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale” (GS 22).
La Chiesa a volte misogena (come parte della società ) ha pensato lo Spirito in termini ristretti, di categorie, di passato, mentre il presente e il futuro attendono risposte creative; queste risposte devono nobilitare e valorizzare le donne nella Chiesa, a beneficio di tutto il Popolo di Dio, e anche del papa, dei vescovi e dei preti. Se noi parliamo secondo lo Spirito dobbiamo parlare in modo tale che la nostra parola sia maschile e femminile insieme. Abbiamo bisogno di questo riposizionamento perché l’alternativa è il ritorno del passato più oscuro e una Chiesa quasi fuori dalla realtà perché una meta’ ne è quasi esclusa.
“Si trovavano tutti insieme nello stesso luogo” (At 2,1) Nel cenacolo che fu il luogo della lavanda dei piedi, della Eucaristia erano tutti insieme; certamente li univa la paura, il lutto per la scomparsa del Maestro, ma erano tutti insieme, uomini e donne. In quello stare insieme a Pentecoste irrompe lo Spirito che fa nuove tutte le cose. La Chiesa deve sempre ripartire da questo stare insieme, domenica dopo domenica, perchè solo in questo modo la presenza del Cristo Risorto sarà riconosciuta.
Don Francesco Pesce, Incaricato per il Servizio per la Pastorale Sociale e del Lavoro della Diocesi di Roma