di Oliviero Bettinelli con plauso del Direttore Mons. Francesco Pesce
Sono cresciuto a pane e salame e pallone. Seguo ancora con passione i fatti del calcio.
Ormai sembra ufficiale. Gli azzurri non si inginocchieranno per testimoniare il loro rifiuto al razzismo. In verità cosa pensano i calciatori della nazionale sul razzismo mi interessa poco o niente. Al di là della loro convinzioni e della loro notorietà non li ritengo modelli di vita a cui ispirarsi neanche quando impacciati invitano a fare beneficienza per l’una o l’altra associazione o si tingono la faccia con uno sbaffo rosso per sostenere una campagna. Li giudico per come giocano e la cosa finisce al 90°.
Mi interessa molto invece sapere cosa pensa sulla questione un organo istituzionale come la Federazione, alla quale i calciatori fanno riferimento. Perché un organo istituzionale rappresenta un Paese e dovrebbe testimoniare la cultura, la realtà e le visioni nelle quali il paese si riconosce.
Forse il problema è proprio questo; la paura di schierarsi e di dire da che parte si sta quando i temi sono seri e implicano prese di posizione serie. Il razzismo è uno di questi. E a chi si nasconde dietro al fatto che non possiamo privilegiarlo perché i temi di protesta sarebbero troppi non possiamo dargli torto.
Che si cominci allora almeno con uno, e poi si continui con altri. Senza enfasi e senza sindromi da salvatori del mondo ma solo portatori di gesti di responsabilità e denuncia. Il calcio lo vedono tutti, perché non cogliere l’occasione di provocare quel minimo di presa di coscienza sulla povertà , sulla violenza di genere, sui cambiamenti climatici, sulle minoranze perseguitate?
Perché per schierarsi, bisogna discutere, conoscere, spiegare ma si sa che lo sport, quando fa comodo, è un’altra cosa. Per preservarlo dalle sue responsabilità di evento sociale andiamo allora a strumentalizzarlo tirando in ballo la libertà di coscienza, una scusa forse credibile quando durante una parata militare i nostri ragazzi manderanno tutti a quel paese, si toglieranno la divisa e giocheranno a pallone sulla Via dei Fori Imperiali. In quel momento, se invece di vedere facce sbiancate e volanti a sirene spiegate, sentiremo, dal palco delle autorità , applausi e risate allora la libertà di coscienza comincerà a diventare una cosa seria.
Fino ad allora tutto resterĂ confinato tra le scelte personali che restano in dote a chi le fa, e quelle collettive che possono innescare processi.
E la responsabilità delle scelte collettive la deve prendere chi è preposto a farlo.
Se non lo fa è inutile che ci sia.