di Oliviero Bettinelli
Difficile fermarsi per imparare ad ascoltare tutti. Ce lo diciamo e sappiamo che è giusto farlo, ma poi la tentazione di ascoltare solo chi parla con il nostro linguaggio e usa le nostre parole è molto forte e alimenta il rischio di rimanere ancorati a vecchie riflessioni e al “si è fatto sempre così”.
Papa Francesco ha incontrato periodicamente i movimenti popolari, quella moltitudine di persone che chiedono terra, casa e lavoro. Li ha incontrati più volte e ne conosce le sofferenze, le istanze e la resistenza così a fondo da definirli “poeti sociali” per la loro capacità di creare speranza laddove la vita li schianta contro scarto e esclusione. Ad ogni incontro ne è sorta una catechesi dell’ascolto, icona a chiare tinte di quel percorso sinodale avviato da poco con curiosità e speranza.
L’incontro con chi non conta, con chi è scartato diventa l’occasione per testare la nostra capacità di conversione e di riflessione. Emerge un atteggiamento di accoglienza vera verso questo popolo immenso e fragile, una accoglienza che nella sua semplicità e profondità lascia il segno e semina futuro. Nessun paternalismo ma, fuori dai paradigmi di ambiti consolidati e tradizionali, papa Francesco avverte la necessità di rimanere in sintonia costante con questo popolo attraverso periodici momenti di incontro e di discernimento, perché solo grazie a loro si può restare vigili e impedire che si ritorni agli schemi precedenti colpevoli di percorsi “suicidi, ecocidi e genocidi”. Schemi disumani nei quali anche le tematiche della semplice tutela assumono contorni del dramma quando succede che per proteggersi si raccomanda di rimanere in casa, salvo poi constatare che per molti di loro una casa non c’è.
I movimenti popolari sono uno dei termometri di una società malata e ormai ripiegata su sé stessa preoccupata solo di raccontarsi la sua malattia. Forse è per questo, oltre alla dimensione pastorale di crominanza, che Papa Francesco colloca questo incontro all’interno della prospettiva Evangelica che richiama alla giustizia globale e che esige dalla Chiesa una testimonianza costante di chi vuole stare dalla parte dagli ultimi. Certo, spesso l’impegno e la lotta siano impari la dove le strutture di peccato, come le definisce il Magistero sociale della chiesa, restano il motivo per cui un cambiamento personale, sebbene necessario, è a volte talmente fragile da apparire insufficiente. Ma sappiamo anche che l’iniquità e la disuguaglianza non sono calamità naturali e hanno radici profonde: i gruppi finanziari che impongono regole restrittive per gli investimenti di carattere sociale e assistenziale, le compagnie estrattive che depredano senza scrupoli i territori lasciando nella povertà più estrema intere popolazioni ch eli abitano , fabbricanti di armi che alimentano e fomentano violenza per arricchire i loro profitti, le grandi compagnie di telecomunicazioni che permettono accessi all’informazione solo a pezzi di mondo circoscritti, i mezzi di comunicazione che manipolano notizie con lo scopo d’incrementare clienti e guadagni, il neocolonialismo che aggredisce paesi più fragili ma ricchi di risorse naturali e posizionati in posizioni strategiche incuranti delle devastazioni social e ambientali che provocano.
La povertà e l’ingiustizia che tolgono dignità e speranza si sviluppano in contesti precisi, per obiettivi precisi e con protagonisti definiti.
L’invito è perentorio: non ci sono vie di mezzo, dobbiamo preoccuparci di ribaltare queste logiche. Là dove c’è sfruttamento dobbiamo creare e generare un movimento di solidarietà che non si limiti a sostenere chi è più debole ma ne sviluppi la consapevolezza di essere un popolo che esige legittimamente rispettò e dignità.
Allo stesso tempo occorre implementare una sussidiarietà sempre più radicata che dia riconoscimento politico ai movimenti popolari, rappresentanti legittimi di quelle frange di persone isolate e fragili, lasciate ai margini dei mondi che decidono la loro vita.
Il cammino di conversione e il riconoscimento di queste istanze non può essere solo ideale ma si deve attivare con proposte reali. E’ qui che si verifica la volontà di cambiamento. Misure che vanno affrontate con lungimiranza ma che indicano una rotta dalla quale non è più possibile deviare.
Papa Francesco le espone con coraggio e realismo.
La prima proposta concreta è avanzare la possibilità di un reddito minimo salariale perché tutti possano vivere con dignità. Al di là dei facili moralismi è una strada che indica una via su cui incamminarsi con decisione. La dignità della persona è l’obiettivo primario su cui la svolta ecologica integrale deve svilupparsi.
Un altro ambito da approfondire riguarda la riduzione della giornata lavorativa per creare un rapporto con il lavoro che sia equamente distribuito e garante per tutti. Siamo passati dalle 16 ore giornaliere nei campi o in fabbrica alle 8 nei numerosi luoghi di lavoro e ora alcuni paesi si sta sperimentando la settimana lavorativa di quattro giorni senza che la dimensione produttiva condizioni il sistema. Alcune scelte epocali socialmente rilevanti, dalla liberazione dalla schiavitù alle prime forme di democrazia sembravano non realizzabili, invece e sono state ritenute possibili e si sono realizzate. C’è la consapevolezza della nostra debolezza e sappiamo che nessuna formula può cambiare l’animo umano, ma sempre di più dobbiamo maturare la convinzione che, se vogliamo salvarci insieme occorre invertire il percorso pericoloso su cui siamo stati collocati. Nella storia non è mai successo che cambiamenti arrivassero da chi non sentiva l’esigenza di proporli perché chiuso in una fortezza sicura e protetta. Nell’ascolto della sofferenza e della capacità di viverla con dignità si scoprono invece vie di salvezza fino a quel momento inimmaginabili. Per questo rimane la speranza che dalle periferie del mondo possa arrivare e vada accolto un segno di cambiamento e di fiducia nel futuro. Ci vuole coraggio ma è da qui che può nascere la consapevolezza che la vera liberazione poveri arriverà quando metteremo l’economia al servizio dei popoli per costruire una pace duratura fondata sulla giustizia sociale e sulla cura della Casa comune. Perché i poveri si aiutano solo quando si liberano.
Il percorso sinodale che stiamo vivendo sarà una grande opportunità per inserirci con pazienza e umiltà in questi processi di salvezza.
È un dono che non dobbiamo sprecare.